Era figlia di Ferdinando I e di Cristina di Lorena.
Nacque nel 1604, ultima dei nove figli avuti dall’ex cardinale, cha aveva abbandonato la veste ecclesiastica dopo la morte di Francesco I e di Bianca Cappello, a detta di molti da lui orchestrata.
La giovane Claudia, alla tenera età di quattro anni, fu destinata in sposa a Federico della Rovere, che di anni ne aveva tre.
Nel 1609 venne fissata anche la dote, pari a 300.000 scudi e nel 1612 l’accordo venne riconfermato.
Claudia era stata affidata alle monache del monastero delle Murate, perché ne curassero l’educazione e la indirizzassero fin da bambina allo scopo cui era stata destinata, il matrimonio.
Altrettanto veniva fatto anche ad Urbino, così che i due bimbetti crescessero nella convinzione di essere innamorati l’uno dell’altra e, per rafforzare la sensazione di unione, cominciarono a scambiarsi regali; ovviamente, data la tenera età, i regali dei fidanzatini in erba erano giocattoli.
Claudia nel tempo regalò a Federico dei cavallini, dei cagnolini, un calamaio riccamente decorato, una balestrina ed altri giochi. Perché potessero conoscersi, ecco che furono loro fatti scambiare dei ritratti.
Una trama orchestrata finemente, in cui i due recitavano la parte dei burattini a cui venivano mossi i fili.
Nel 1616 il tempo fu maturo perché i due si incontrassero.
Federico giunse a Firenze il 6 ottobre 1616, accolto in pompa magna dai granduchi assieme a Claudia, alla quale Federico voleva fare il baciamano, senza però riuscirvi perché lei ritrasse la mano.
Vi furono grandiosi festeggiamenti, durati interi giorni, tra cui si ricordano giostre, rappresentazioni teatrali e musicali, feste con apparati stupefacenti fra i quali una macchina scenica raffigurante il Parnaso delle Muse, immagine allusiva alla raffinata cultura della corte di Urbino.
Quando Federico, il 18 fece ritorno ad Urbino, era frastornato e parlava entusiasticamente di Firenze e di Claudia.
Il matrimonio tra i due avvenne il 29 aprile 1621, poco dopo la morte di Cosimo II e fu celebrato a Firenze nella Villa di Poggio Baroncelli (Poggio Imperiale).
I festeggiamenti per le nozze furono in forma minore, data la recente scomparsa del Granduca, ed anche a causa di un’epidemia di vaiolo scoppiata in città. Gli sposi, dopo il banchetto, si recarono alla chiesa dell’Annunziata, per riverire l’immagine miracolosa della Vergine, ritirandosi in seguito per la “consumazione” del matrimonio, che venne di fatto riportata in una lettera di uno del seguito di Federico al di lui padre: “Il… principe è sveglio e sappiamo da buone parti che tutto è consumato a gusto. Sia ringraziato Iddio”.
Claudia, preceduta dal marito, parte per Urbino; in ogni località viene ricevuta in modo splendido: giostre, musiche, cannonate a salve, scampanii, recite, declamazioni, balli… una vera acclamazione!
Una volta però esauriti i festeggiamenti, a Claudia basta poco tempo per capire quanto sventurata sarà la sua condizione di vita.
Federico non è quel giovane e trepidante innamorato che le era stato dipinto, ma si rivela essere di indole rozza e bizzosa. Non solo. Una volta salito al potere, a seguito dell’abdicazione del padre in suo favore, ne approfitta per dimostrarsi uno scapestrato, si abbandona appena può a triviali bagordi.
Scorrazza per Urbino di notte, mascherato, attacca briga, insulta le donne.
Come marito si rivela essere violento, manesco, senza tatto e delicatezza, brutale soprattutto quando – e accade spesso – è ubriaco.
Federico, senza alcuno scrupolo, porta a palazzo tutte le sue amanti, e con una disarmante disinvoltura le fa vivere assieme a loro.
A Claudia, che è incinta, non vengono risparmiate le umiliazioni più atroci e crudeli.
Nasce la figlia, Vittoria, ma neanche questo lieto evento cambia qualcosa; piuttosto, peggiora la condizione di Claudia, alla quale Federico impone di non uscire da palazzo se non scortata da dodici alabardieri. In pratica, le impone una specie di clausura.
Inoltre, infastidito dalla sua presenza, rifiuta di dormire assieme a lei ed alloggia in un “appartamento molto lontano da essa” assieme ad una commediante di nome Argentina.
Claudia è ormai talmente colpita dalle offese del marito che decide di lasciare Urbino e trasferirsi a Pesaro con la figlia appena nata.
Federico, per niente turbato da ciò, non soltanto assiste a tutti gli spettacoli della teatrante Argentina, ma vi prende anche parte.
Le sue esibizioni sono di infimo ordine e pure le parti che gli vengono assegnate sono le più vili e meschine.
Una volta fece la parte di un “giumento”, portando sulle spalle tutti i commedianti, come se fosse un ciuco da soma. Finito lo spettacolo “cenò et bevve” oltre misura “al suo solito” coricandosi all’alba del 29 giugno. Fu trovato in serata da un cameriere che, preoccupato di non vederlo comparire, entrò nella sua stanza e lo trovò steso bocconi sul letto “con gli occhi mezzo aperti et con la bocca piena di schiuma”.
Claudia, appena rientrata ad Urbino, accorse anche lei al capezzale di Federico. Scipione Ammirato narra che “gli tira i capelli”, gli mette “le mani sotto le reni e trovatovi alquanto caldo” ordina si rechino “elisir et cose simili per fargli tornar gli spiriti”.
Ma Federico è ormai morto da almeno sette o otto ore. I medici sentenziarono che si fosse trattato di un colpo apoplettico, senza però fugare sospetti che volevano che Federico fosse stato avvelenato o addirittura strangolato.
Coloro che volevano vederlo morto erano talmente tanti, che non sarebbe stato possibile indicare un probabile assassino.
Si sparse la voce che, forse, erano stati i Medici, da Firenze, ad organizzare il fattaccio, per difendere l’onore di Claudia e per vendicarsi di come Federico l’aveva trattata.
Rimasta sola con la figlia Vittoria e con il suocero duca Francesco Maria della Rovere, Claudia decise di rientrare a Firenze, indurita nell’animo e irrigidita nei tratti, quale appare nel ritratto eseguito Giusto Sustermans.
Nuove trame matrimoniali vengono tessute a corte, dove si è già provveduto a fidanzare sua figlia Vittoria con il cugino Ferdinando, figlio di Cosimo II.
Rientrata a corte, Claudia andò a vivere nel monastero della Crocetta dove si trovava sua sorella Maria Maddalena, suora senza aver preso i voti.
Ma anche per Claudia era pronto un secondo matrimonio, con l’arciduca d’Austria e Tirolo, Leopoldo V, fratello della granduchessa Maria Maddalena e dell’imperatore Ferdinando II d’Asburgo. Era un uomo avanti con l’età, non attraente ma sensibile alla cultura, amante del cibo e della buona tavola, ma al tempo stesso sovrano capace. Claudia, obbediente, sposò per procura il secondo marito a Firenze alla fine di marzo del 1625, subito dopo lasciò la città e la corte medicea per Innsbruck.
Aveva nel suo destino una seconda vita, molto differente dalla dolorosa esperienza di Urbino.
Rimase immediatamente incinta, gravidanza e parti si susseguono ininterrottamente: nascono, infatti, nel 1627 Maria Eleonora che morirà a soli due anni, nel 1628 Carlo Ferdinando, nel 1629 Isabella Clara, nel 1630 Francesco Sigismondo, nel 1632 Maria Leopoldina.
Claudia irruppe nel mondo austriaco con l’amore per l’arte e la cultura, manifestando il suo piacere nei confronti delle feste e dei ricevimenti, del lusso e della bellezza di cui si era nutrita in Italia. Tutto ciò le valse il giudizio negativo degli ambienti nobiliari tirolesi che mal tolleravano l’arrivo di architetti, musicisti, pittori da Firenze e vivevano con preoccupazione le continue e ingenti spese, tutte gravanti sulle non floride finanze dello Stato.
Questi furono anni in cui la città di Innsbruck cambiò parte del suo aspetto, la città ricevette una nuova fortificazione, furono lastricate le sue strade, si cercò di migliorare le condizioni igieniche urbane, di limitare i pericoli di incendio ed eliminare la prostituzione.
I giardini dei palazzi si animarono di fontane e giochi d’acqua, fu completata la chiesa della Trinità, ampliato e ingentilito palazzo del Tribunale, innalzati teatri, realizzate le fortezze di Ehrenberg (Fort Claudia), Kufstein e Scharnitz con la Porta Claudia.
Nel settembre del 1632 Leopoldo V morì e a Claudia, in base alle volontà testamentarie del marito, spettarono gli onori e gli oneri del comando come reggente per il figlio Ferdinando Carlo di soli 4 anni.
Guidò lo Stato con forza, talvolta con spietatezza, ma anche con razionalità e lungimiranza, assicurando ai territori tirolesi stabilità politica e sviluppo economico.
Fu lei a varare una riforma degli apparati militari e, stringendo un’alleanza con la Spagna e con l’Imperatore Ferdinando II, riuscì a salvare i suoi sudditi dalla tragedia della Guerra dei Trent’anni. In nome dei figli riuscì a estendere i possedimenti al ducato di Württemberg, ottenendo anche il giuramento di fedeltà; solo le trattative della pace di Vestfalia consentirono al duca Eberardo III di Württemberg di tornare in possesso della regione, nonostante la strenua difesa delle sue ragioni da parte di Claudia.
Fu sostenitrice della necessità di un forte accentramento politico e amministrativo nelle sue mani contro le rivendicazioni di autonomia della nobiltà tirolese e del clero, anche se nel corso della sua esperienza politica Claudia si spese per la Controriforma, protesse i gesuiti e si professò fervente cattolica.
Seppe favorire l’artigianato e il commercio, introdusse la coltivazione dei gelsi per la produzione della seta, costituì nel 1635 la nuova fiera di Bolzano a cui diede carattere internazionale; istituì anche il Magistrato mercantile, l’organo giurisdizionale che doveva sovraintendere le questioni relative alla vita commerciale della città e dirimere le possibili controversie con i mercanti stranieri.
Per lungo tempo i giudizi storici su di lei furono implacabili.
Dumas, la riteneva una donna dissoluta, mentre Gaetano Pieraccini la catalogò fra le figure di “intelligenza paramediana inferiore” dal punto di vista affettivo e tra le “inferiori assolute” per quanto riguarda la moralità. Fu accusata di aver scelto come amante il suo consigliere Wilhelm Biener, uomo abile e funzionario capace, che la affiancò nella volontà di frenare l’autonomia dell’aristocrazia e delle gerarchie ecclesiastiche.
Fu una colta mecenate, una donna raffinata e amante del bello che introdusse nella più rurale realtà tirolese quelle forme di armonia, eleganza e finezza conosciute nel mondo toscano. Quando Claudia rientrò in Italia, nel 1634, per assistere alle nozze della figlia Vittoria con il futuro granduca di Toscana, sorprese gli invitati per l’ostentazione di gioielli, stoffe preziose e decorazioni del suo abbigliamento e di quello del suo seguito.
Ma forse era un modo per riprendersi una bella rivincita sulla sua famiglia d’origine. Ora non era più una pedina, era lei a comandare.
Morì ad Innsbruck il 24 dicembre 1648 di “hidropesia”.