D’accordo: l’uomo è animale prevalentemente costruttore, condannato a tendere coscientemente a uno scopo e a esercitar l’arte dell’ingegnere, ossia a tracciarsi in eterno e senza posa una via, anche se non si sa dove meni. Ma forse appunto perché è condannato a tracciarsi questa via gli vien voglia ogni tanto di buttarsi fuoristrada, e magari anche perché, sia stupido l’uomo immediato e d’azione quanto si vuole, gli balena però talvolta pel capo che la via, come risulta, quasi sempre mena non si sa dove, e che l’importante poi non è dove meni, ma piuttosto e soltanto che, insomma proceda, e che il bravo ragazzo non sia portato a spregiare la propria arte d’ingegnere e non s’abbandoni così al rovinoso ozio, il quale è il noto padre di tutti i vizi. Dunque l’uomo ama costruire, e tracciare strade, è pacifico. Ma da che viene che ami appassionatamente anche la distruzione e il caos?
E, chissà (nessuno può giurare il contrario), forse lo scopo a cui tende l’umanità consiste unicamente nel mantenere ininterrotto questo processo di raggiungimento, in altre parole è la vita medesima, e non propriamente la meta da raggiungere, la quale, si capisce, non può esser altro che il due più due quattro, ossia una formula, ma questo due più due quattro non è più la vita, bensì il principio della morte.
Se non altro l’uomo ha sempre avuto una certa paura di questo due per due quattro, e io ne ho paura anche adesso. Supponiamo che l’uomo non faccia altro che ricercare questi due per due quattro, varchi gli oceani, sacrifichi la vita in questa ricerca, ma scoprire, trovare effettivamente, perdio, in qualche modo lo tema. Perché sente che quando avrà trovato, allora non avrà poi più niente da ricercare. Gli operai almeno, terminato il lavoro, riceveranno il denaro, andranno all’osteria, poi finiranno alla polizia: eccoli impegnati per una settimana. Mentre l’uomo dove andrà? Se non altro, ogni volta si nota in lui una specie di imbarazzo al momento di raggiungere scopi simili. Gli piace la conquista, ma non altrettanto l’aver conquistato, e questo, s’intende, è terribilmente ridicolo. In una parola, l’uomo è fatto in modo comico; in tutto questo è evidentemente racchiuso un calembour. Ma il due per due quattro è comunque una cosa sommamente insopportabile. Il due per due quattro: ma secondo me è soltanto una sfacciataggine. Il due per due quattro ha un’aria strafottente, vi si piazza in mezzo alla strada con le mani sui fianchi e sputa. Sono d’accordo che il due per due quattro è una cosa magnifica; ma se si vuol lodare proprio tutto, allora anche il due per due cinque è una cosuccia talvolta molto carina.
Io, per esempio, non mi stupirò affatto, se a un tratto, di punto in bianco, in mezzo alla futura razionalità universale salterà fuori un qualche gentleman dalla fisionomia poco nobile o, per meglio dire, retrograda e beffarda, punterà le mani sui fianchi e dirà a tutti noi: «Ebbene, signori, che ne direste di dare un calcio e buttare all’aria tutta questa razionalità in un colpo solo, con l’unico scopo di mandare al diavolo tutti questi logaritmi e poter di nuovo vivere secondo la nostra stupida volontà?».
Ci è di peso perfino essere uomini – uomini con un corpo e sangue vero, nostro; ce ne vergogniamo, lo consideriamo un disonore e ci sforziamo di essere non so che ipotetici uomini universali. Siamo nati morti, e da tempo non nasciamo più da padri vivi, e la cosa ci piace sempre di più. Ci prendiamo gusto. Presto escogiteremo il modo di nascere da un’idea.
Fëdor Dostoevskij – Memorie dal sottosuolo