LA GRAMMATICA E LA SCRITTURA CAROLINA ALLA BASE DELLA RINASCITA DELLA CULTURA EUROPEA
✅In questo articolo leggerai come le basi culturali europee abbiano subito un formidabile impulso per volere di Carlo Magno. Un periodo che diede una spinta all’evoluzione della scrittura, strumento imprescindibile per la condivisione del sapere i cui effetti hanno dato la possibilità dell’allargamento degli orizzonti culturali sino ad oggi.
Un prezioso aiuto alla riforma carolingia fu certamente l’ordine benedettino. Il luogo dove venivano copiati i manoscritti, lo ‘scriptorium’, presente in ogni monastero o abbazia divenne, per certi versi, il primo e vero prototipo di esempio di scuola pubblica europea.
Sino ad allora il libro era stato considerato quasi esclusivamente come strumento di memoria del sapere e della fede, mentre adesso espandeva le sue funzioni e acquisiva la formidabile funzione di strumento didattico.
Oltre alla logica, alla quale faceva partecipare lo stesso Carlo Magno ed altri membri della corte con sfide, Alcuino di York comprese la formidabile importanza della grammatica. Egli si rivolgeva così ai prelati in una sua lettera del 780: ‘‘Se la loro capacità di scrittura è così ridotta, così anche la loro capacità di comprendere con esattezza le Scritture è di gran lunga inferiore a quanto converrebbe’’. Sapere scrivere senza errori era diventato fondamentale, imprescindibile. Non si poteva più tollerare la mancanza di precisione come era stato fatto sino a quel momento. Persino le missive reali, da e per la corte, erano piene di errori, tanti e tali da renderne incomprensibile il significato e dunque illeggibili.
Se prima di Alcuino la scrittura era considerata attività secondaria, in cui chi sapeva leggere non sapeva scrivere, con l’uomo di York tutto era destinato a cambiare. Egli pose le basi di quella che sarebbe stata una rivoluzione, scardinando abitudini che erano ormai sedimentate dal tempo. Per Alcuino la grammatica doveva essere posta davanti a tutto, senza eccezioni, e si impegnò al massimo alla limitazione degli errori, arrivando praticamente a demonizzarli. Alcuino faceva notare la tremenda importanza degli errori quando commessi, come ad esempio anteporre una semplice ‘h’ alla parola latina ‘ara’ (altare) per trasformare, appunto, l’altare, in un porcile (‘hara’).
La confusione che era regnata sino ad allora accentuò la spinta verso la necessità di avere regole comuni per stabilire finalmente un ordine. Con questo proposito nacque quindi una nuova scrittura. Le caratteristiche di questa scrittura erano fondamentalmente quelle di essere, uniforme, semplice, ma anche precisa e ben leggibile, e naturalmente provvista di punteggiatura. Tra le novità della punteggiatura ecco nascere il punto interrogativo, stilizzazione grafica della sigla ‘qo’, ovvero ‘quaestio’ (‘domanda’). La sigla era solita essere messa dai copisti al termine di una frase interrogativa. Con il passare del tempo la ‘q’ si spostò sopra la o che in seguito si sarebbe trasformata in un elementare punto.
L’inizio della nuova scrittura, denominata poi “carolina”, è attribuito allo scrivano di nome Adalberto, del monastero benedettino di Corbie , in Francia. È comunque più che plausibile che dietro questa rivoluzionaria novità ci fosse sempre la mente di Alcuino, che dal 796 fu presente in Francia all’abbazia di San Martino presso Tours in qualità di abate. La nuova scrittura riduceva, quando non eliminava del tutto, le abbreviazioni: una delle cause ataviche all’origine della complessità e dell’incomprensibilità di molti testi precedenti ad essa. La scrittura carolina risultò essere stilisticamente una fusione di classico e orientale (ovvero bizantino): infatti essa fu l’imitazione di caratteri classici, addolciti dall’influsso delle lettere arrotondate tipiche della scrittura minuscola greca, usata nei testi bizantini.
Altro prezioso strumento di svolta, sino a quel momento sottovalutato, fu la miniatura, la quale si dimostrò indispensabile nel facilitare l’apprendimento. Tra gli esempi più celebri vi è il ‘Vangelo di Carlo’, risalente al 795, realizzato appositamente per il sovrano. In essa, come in altri tanti esempi, si riscontra l’abbandono definitivo alle codificate figure di tradizione bizantina e longobarda, che agli occhi delle genti del tempo, risultavano ormai senza valore e significato. Ora l’autore, o meglio l’artista, aveva la possibilità di unire elementi realistici, ad altri con significato simbolico. L’uomo adesso poteva acquisire slancio e vitalità, e contemporaneamente i volti presentavano realisticamente le fattezze dei personaggi che venivano ritratti.
Tutta la riforma di Carlo in ambito scolastico (ma anche e soprattutto politico) viene considerata da anni un primo tentativo di dare uniformità e una sorta di livellamento culturale del continente europeo, o almeno la parte di esso a lui soggetta. Ciò riuscì per volontà di un sovrano illetterato, i cui desideri e fini ebbero l’umiltà di prendere e mettere a frutto il meglio di molte culture, a volte anche molto diverse dalla sua. Di tutto ciò che fece Carlo per la rinascita culturale, resta oggi, tra le altre cose, una eredità tangibile, riguardante la minuscola carolina. Essa, abbandonata col tempo, fu riscoperta nel Quattrocento dall’umanista toscano Poggio Bracciolini, che la prese a modello per i primi stampatori. Questi la usarono a loro volta per forgiare i primi caratteri, che sono gli antenati diretti di quelli usati ancora oggi in molteplici ambiti: dalle macchine da scrivere ai telefoni cellulari e ai computer.