Nel campo scientifico l’influenza dell’India sugli arabi fu seconda solo a quella greca. Nel 773, per incarico di al-Mansur furono tradotti i “Siddantas”, trattati astronomici che risalivano al 425 a. C. Fu attraverso queste traduzioni che i numeri “arabi” furono acquisiti dall’Islam. Il primo a parlare dei “numeri indiani” era stato l’abate Severus Sebokht del monastero di Ken-nestre sull’alto Eufrate, il quale nel momento della conquista della Siria da parte dei musulmani (662) stava scrivendo trattati di astronomia.
Nell’813 al-Khuwarizmi usò i “numeri indiani” nelle sue tavole astronomiche e verso l’825 fu pubblicato un trattato conosciuto nella versione latina col nome di “Algoritmi de numero indorum”, col quale i termini “algoritmo” o “algorismo” furono introdotti per indicare il sistema aritmetico basato sui decimali.
Nel 976 Muhammad ibn Ahmad nel libro “Chiavi delle scienze” suggerì che se in un calcolo non vi era nessuna cifra che indicasse le “decine”, si doveva usare un piccolo cerchio “per mantenere la fila”. Questo segno fu chiamato “sifr” (vuoto) da cui il termine “cifra”. Gli studiosi latini trasformarono “sifr” in “zephyrum”, quindi nell’abbreviazione di “zero”.
L’algebra (da “al-jabr”: ripristino-completamento) era stata introdotta dal greco Diòfanto di Alessandria (III sec. d.C.), ma furono gli arabi a svilupparla. Fu infatti Muhammad ibn Musa (780-850), detto al-Khuwarizmi (dal luogo di nascita) il più grande matematico del Medioevo che si occupò anche di astronomia, geografia e cronografia. Visse a Bagdad sotto la protezione del califfo al-Ma’mun, e introdusse in Occidente l’algoritmo. Oltre ad aver scritto sui numeri indiani, compilò tavole astronomiche che, rielaborate nella Spagna musulmana, furono per secoli il modello di tutti gli astronomi dalla Spagna alla Cina.
Al Khuwarizmi formulò le tavole trigonometriche poi conosciute in Occidente, collaborò con altri sessantanove studiosi alla preparazione di una enciclopedia per il califfo al-Ma’mun e nel “Calcolo dell’integrazione e dell’equazione” diede soluzioni analitiche e geometriche di equazioni quadrate.
L’opera, che nella versione araba andò perduta, fu tradotta da Gerardo da Cremona (XII sec.) e usata in tutte le università dell’Occidente fino al XIV sec.. Solo con la traduzione di Gerardo da Cremona fu introdotto in Occidente il termine “algebra”.
Abu Yusuf Ya’qub ibn Ishaq al-Kindi (800-73 c.a), conosciuto in Occidente come “Alkindi” o “Alcindus”, fu scienziato, oltre che filosofo, studiò le maree, ricercò la legge della velocità di caduta, investigò i fenomeni della luce in un libro sull’Ottica che influenzò Ruggero Bacone (1214-1294 c.a).
Thabit ibn Qurra (826-901), famoso per gli studi in astronomia e medicina, divenne il più grande esperto musulmano in geometria. Tra l’ottavo e il nono sec. lavoro’ l’astronomo e astrologo Abu Ma’shar detto “Albumasar” le cui opere furono tradotte in latino e diffuse per tutto il medioevo, tra le quali “De magnis conjunctionibus”, “Introductionium in Astronomium” e “Flores astrologici”.
Il califfo al-Ma’mun diede incarico ai suoi astronomi di verificare le teorie di Tolomeo (138-178 c.a), e di studiare le macchie solari. Gli arabi erano convinti della sfericità della Terra, ne misurarono il diametro fissandolo in trentaduemila km. e, misurando la sua lontananza dal sole non si discostarono molto dalla distanza reale.
Abu Abdallah al-Battani (858-929) conosciuto in Occidente col nome di “Albatenius” o “Albatenio” andò oltre nei principi di trigonometria fissati da Ipparco di Nicea (II sec. a. C.) e Tolomeo, sostituendo alle soluzioni quadrilaterali di Tolomeo, quelle triangolari, e, il “seno” e la “corda” d’Ipparco, formulando i rapporti trigonometrici così come sono oggi conosciuti. Ma fu anche astronomo e, oltre a un testo di astronomia, pubblicò delle tavole astronomiche (az-zig) con testo esplicativo sui problemi dell’astronomia sferica.
Furono gli arabi a costruire strumenti astronomici come astrolabi e sfere armillari già conosciute dai greci e quadranti con raggio di dieci metri e sestanti con venticinque mt. di raggio. L’astrolabio giunto in Europa nel X. sec. e usato fino al XIV sec., era stato disegnato e costruito dagli arabi, che dal punto di vista estetico lo avevano reso un’opera d’arte.
Abu Ishaq Nur ad-Din al-Bitruri, (†1204) musulmano di Spagna, amico e discepolo del filosofo ibn Tufail , conosciuto in Occidente come Altepragio, fu autore del libro di astronomia “Kitab-al hai’ah” (Libro dell’astronomia), nel quale tenta una nuova spiegazione dei moti solari e planetari, seguendo la corrente anti-tolemaica iniziata da ibn Bajja, ibn Tufail e Averroè . Criticando e distruggendo la teoria degli epicicli e delle eccentriche con cui Tolomeo aveva cercato di spiegare il movimento delle stelle, aveva aperto la strada a Niccolò Copernico. Il suo libro fu tradotto da Michele Scoto a Toledo (1217), ma il testo fu introdotto in Occidente nella traduzione dall’ebraico in latino nel 1529 (pubblicato a Venezia nel 1531).
Sono da ricordare inoltre, Abu Alì al-Hasan ibn al-Hasan ibn al-Haitham (965-1039), “Alhazem” o “Avenathan” per gli occidentali, fisico celebre per l’ottica, autore di oltre centotrenta opere di matematica, astronomia e scienze fisiche.
Ahmad ibn Muhammad ibn Kathir al-Farghani detto “Alfraganus” (†820) astronomo e geografo, arabo di Persia, corresse le tavole astronomiche di Tolomeo e seppe determinare molti coefficienti astronomici avvicinandosi di molto ai calcoli moderni. Compose un testo di astronomia, “Kitab fi giawami’ilm an nugium” (Il libro delle nozioni elementari intorno alla scienza degli astri) che rimase valido per l’Occidente e per l’Asia occidentale per settecento anni.
Abu’l Wafa (940-998), matematico e astronomo, tradusse e commentò i matematici greci, in particolare Diòfanto (seguace di Tolomeo, III sec.d.C) e scoprì la terza variazione lunare, seicento anni prima di Tycho Brahe.
Altri grandi studiosi arabi, furono: Abu l’Hasan Ali ibn Abd ar-Raman ibn Ahmad ibn Yunus (†1009), uno dei maggiori astronomi musulmani. Per lungo periodo e con adeguati strumenti astronomici osservò le congiunzioni del sole e della luna, eclissi solari e lunari, posizioni di pianeti e di stelle, obliquità dell’eclittica ed altro. I suoi studi fecero progredire la trigonometria sferica. Su queste basi scrisse una grande opera di astronomia dal titolo “Le tavole astronomiche (az-zig) hakimite”, dal nome del sovrano (al-Hakim), in parte andata perduta.
Considerato il più grande erudito musulmano, Abu al-Rayhan Muhammad ibn Ahmad al-Biruni (973-1048), originario dell’Iran, si occupò di astronomia, matematica, geografia e cosmografia,
scrisse in lingua araba da lui prediletta, un’opera di cronologia comparata sui calendari e feste religiose dei persiani, siriaci, greci, ebrei, cristiani, sabei, zoroastriani e arabi, “al Arthàr al-baqiya ani’l-qarùn al-khaliya (Monumenti superstiti dei secoli andati), e “Tarikh al-Hind” (Descrizione dell’India). Ma aveva tradotto dal sanscrito gli “Elementi” di Euclide (IV-III sec. a. C.) e l’ “Almagesto” di Tolomeo.
L’ascesa dello studio delle scienze, della matematica, della geografica continuò nei secoli successivi.
Nell’anno 1081 Ibrahim al-Sadi a Valencia, costruì il primo globo celeste, costituito da una sfera di ottone di diametro di 20.9 cm., sulla cui superficie erano state raccolte quarantasette costellazioni e incise millequindici stelle, nelle loro rispettive grandezze.
Nel 1112 Abu’l Fath al-Khuzini pubblicò un libro di fisica, “Kitab mizan al-hikmah” (Libro della bilancia della saggezza). In questo libro, oltre alla storia della fisica è formulata la legge della leve; si dà il peso specifico di molti liquidi e solidi; si spiega la forza di gravità, come forza universale, che attira tutte le cose verso il centro della terra.
Hasan al-Marraqushi, pubblicò (1229) le “tavole di seni, di grado in grado e di segno opposto di archi, seno e archi contingenti”. Nella generazione successiva Nasir ud-Din al-Tusi, pubblicò il primo trattato di trigonometria.
Su questa materia in Occidente, bisognerà attendere il tedesco Regiomontano (Johannes Müller,1436-76), che correggerà errori di traduzione dell’Almagesto di Tolomeo e pubblicherà il libro “De Triangulis” che costituì il primo trattato europeo di trigonometria.
Le ruote azionate dall’acqua, già conosciute nel mondo greco e romano, furono migliorate dai musulmani. Costoro conoscevano bene l’alchimia presa anche con una dose di sarcasmo, se, proprio un arabo di nome al-Latif aveva detto che “gli alchimisti conoscevano trecento modi per turlupinare la gente”.
Jibir abu Afflah, scrisse (1240) “Islah al-majisti” (Le correzioni all’Almagesto), che incominciavano a minare le teorie di Tolomeo. Infatti queste teorie costituivano l’unico testo di astronomia (come anche in geografia), posto alla base degli studi nel medioevo, a causa del principio base di quel periodo, di far ricorso all’ “autorità” di colui che, sull’argomento trattato, aveva espresso determinate teorie ritenute “inattaccabili”(come avvenne per tutte le opere di Aristotele), e nessuno era ritenuto in grado di poterle confutare.
La botanica, dai tempi di Teofrasto (c.a 370-288 a. C.), non aveva avuto alcun altro studioso della materia. Il testo di scienze naturali di Teofrasto era l’unico testo in circolazione in tutto il Medioevo.
Dopo l’erbario scritto da al-Idrisi , in cui erano descritte le qualità terapeutiche delle erbe, Abu’l Abbas, detto il Botanico (al-Nabati), scrisse (1216) un libro in cui descriveva la vita vegetale delle piante, dell’area che andava dall’Atlantico al mar Rosso.
Non fu l’unico. Fu seguito da Abu Muhammad ibn Baitar (1190-1248), considerato il più gran botanico e farmacista del Medioevo. Egli raccolse tutto il sapere botanico in un lavoro di grande erudizione, il “Kitab al-Jami”che indicava millequattrocento piante, droghe, cibi, dei quali trecento nuovi.
Analizzò la loro costituzione chimica e le possibilità curatrici con acute osservazioni sui loro effetti terapeutici. Il libro fu utilizzato in Europa fino al 1500.
Nel campo dell’agronomia, eccelse Ibn al-Awan, con il “Libro del contadino” (1190). Analizzando il terreno e i concimi, al-Awan descrisse la coltivazione di cinquecentottantacinque piante, di cinquanta alberi da frutto, spiegò i metodi d’innesto, indicando i sintomi delle malattie dei vegetali dando le relative cure.
Anche questo testo costituì il più completo trattato d’agronomia di tutto il Medioevo.