Nella villa di Castello, nel 1482, viveva il ramo Popolano della famiglia Medici, mentre nella villa di Petraia, posta più in alto, vivevano i cugini, i grandi Medici di Cafaggiolo. Avevano la stessa origine: sia Cosimo il Vecchio che Lorenzo il Vecchio erano figli di Giovanni di Bicci, artefice della fortuna della famiglia.
Il ramo cadetto aveva vissuto lontano dalla politica e, nel 1482, Lorenzo il Popolano, pronipote di Lorenzo il Vecchio, si sposò con minor fasto del cugino, Lorenzo Il Magnifico. La fanciulla prescelta si chiamava Semiramide d’Appiano, figlia del signore di Piombino.
Questo matrimonio non aveva certo possibilità di competere con quello di Lorenzo Il Magnifico, per cui la madre, Lucrezia Tornabuoni, si era adoperata addirittura scendendo fino a Roma per trovare una perfetta nuora. E l’aveva trovata, infatti, in Clarice Orsini, degna rappresentante della nobiltà romana.
Il paragone tra i due matrimoni era scomodo e faceva montare la rabbia nel padre di Lorenzo il Popolano, Pierfrancesco che si sentiva ingiustamente privato degli onori e soprattutto dei possedimenti che appartenevano al ramo principale della casata. In fondo, tutti quanti provenivano da Campiano, in Mugello.
Tornando alle nozze, Lorenzo il Popolano volle avvalersi dell’opera di uno dei pittori che lavoravano per il ramo principale: Sandro Botticelli.
Ed infatti gli commissionò un quadro per ricordare l’evento, pagando quanto e forse più del cugino Lorenzo il Magnifico, pur di avere un’opera del raffinato e delicato Filipepi.
Nacque così, per il matrimonio di Lorenzo il Popolano e per la villa di Castello, quel magnifico e venerato quadro che il Vasari chiamò “Allegoria della Primavera”.
L’opera è forse la più famosa del Botticelli, un capolavoro della pittura rinascimentale. Il fascino di quest’opera è dato anche dall’alone di mistero che la circonda, non essendo ancora stato completamente svelato il suo significato più profondo.
La scena si svolge in un boschetto formato da alberi di arancio e frutti; sullo sfondo di un cielo azzurro, sono disposti nove personaggi, in una composizione che ruota attorno al personaggio centrale, una donna con drappo rosso. Il suolo è composto da un prato formato da una gran varietà di specie vegetali e di fiori.
Alla Primavera si possono attribuire più livelli di lettura.
L’interpretazione mitologica non lascia dubbi: universalmente viene riconosciuto che i personaggi si trovano nel famoso giardino delle Esperidi: il primo da destra è Zefiro, vento di primavera, che rapisce per amore la ninfa Clori, mettendola incinta; da questo atto la ninfa rinasce e si trasforma in Flora, ovvero la stessa primavera rappresentata come una donna coperta da un abito fiorito e che sparge a terra dei fiori.
Al centro del quadro si trova Venere, simbolo dell’amore più elevato, che osserva tutta la scena. Sopra di lei vola il figlio Cupido. Alla sua sinistra si trovano le tre Grazie che stanno danzando. Ancora più a sinistra si nota Mercurio, il messaggero degli dèi, raffigurato con le ali ai piedi, che col caduceo scaccia le nubi per conservare un’eterna primavera.
Filosoficamente, nel quadro si racconterebbe come l’amore, nei suoi vari gradi, giunga a strappare l’uomo dal mondo terreno per elevarlo a quello spirituale. Zefiro e Clori rappresentano l’amore sensuale e irrazionale, che tuttavia è fonte di vita (Flora) e tramite la meditazione di Venere e Cupido si trasforma in qualcosa di perfetto (le tre Grazie), per poi spiegare le ali verso le sfere celesti guidato da Mercurio.
Secondo alcune letture dell’opera i personaggi mitologici del dipinto sarebbero le rappresentazioni di personaggi fiorentini e delle loro virtù, come in una sfilata di carnevale.
Secondo altre fonti, pare che l’opera sia stata inizialmente commissionata a Botticelli da Giuliano de’ Medici in occasione della nascita del figlio Giulio (futuro papa Clemente VII), avuto con Fioretta Gorini che egli avrebbe sposato in gran segreto nel 1478.
Ma Giuliano morì nella congiura dei Pazzi ordita contro il fratello in quello stesso anno, un mese prima della nascita del figlio, per cui il quadro, incompiuto, venne “riciclato” dal cugino qualche tempo dopo per celebrare le sue nozze, inserendovi il suo ritratto e quello della moglie Semiramide Appiani, che si diceva essere donna dall’estrema bellezza.
In base ad altri ritratti dipinti da Botticelli, nei vari protagonisti della rappresentazione sono stati individuati vari personaggi di casa Medici: in particolare nelle tre Grazie sono state riconosciute Caterina Sforza (a destra), e Simonetta Vespucci (al centro), la fonte di ispirazione per la Nascita di Venere, che guarda sognante verso Mercurio-Giuliano de’ Medici.
Per la lettura storica, si dovrebbe considerare il dipinto come allegoria dell’età dell’oro in epoca medicea. La presenza di Flora sarebbe pertanto un’allusione a Florentia e dunque alle antiche origini della città di Firenze.
Le altre figure sarebbero città legate in vario modo a Firenze: Mercurio-Milano, Cupido (Amor)-Roma, le Tre Grazie come Pisa, Napoli e Genova, la ninfa Maya come Mantova, Venere come Venezia e Borea come Bolzano.
Altri studi hanno invece ipotizzato che il dipinto sia una sorta di calendario agreste abbreviato della bella stagione: da febbraio (Zefiro) a settembre (Mercurio), nell’augurio di una primavera senza fine.
Nelle tre Grazie c’è chi individua invece le Stagioni che in Grecia, dal clima temperato, classicamente erano tre. Tra le isole e le penisole dell’Egeo non esisteva l’inverno, quarta stagione, aggiunta da noi.
Le stagioni si distinguevano in Primavera, la prima dell’anno perché convenzionalmente il mondo si era creato allora; l’Estate era la stagione di mezzo, in cui spira un vento caldo, afoso e senza refrigerio; l’Autunno chiudeva il ciclo, periodo dei frutti da cogliere, rappresentato da Mercurio.
Botticelli riconosceva i Medici del ramo principale come suoi protettori, non solo per ricchezza ma anche per sincero affetto e sembra che Mercurio fosse allusivo a Giuliano de’ Medici, pronto a raccogliere il frutto della sua vita troncata dalla congiura de’ Pazzi.
Dunque, volendo seguire questa ipotesi, questo diventa un Olimpo botticelliano, in cui gli otto personaggi (Cupido escluso) rappresentano ciascuno un mese dell’anno, inverno escluso.
Per cui possiamo riconoscere Marzo nel tiepido spirar di Zefiro; Aprile, promessa d’amore in cui ogni gemma si schiude al sole; Maggio, il più bello, germogliato in Flora; Giugno con i frutti che ci dà la terra, rappresentato da Venere; Luglio, Agosto e Settembre rappresentano l’Estate simboleggiata dalle tre fanciulle; Ottobre, ricco dei frutti della vite e del vino rosso rubino dei colli.
Si ringrazia la Gent.ma Sig.ra Gabriella Bazzani dell’associazione “Firenze e la sua gente”.