La storia della nave negriera Amistad

Molti asseriscono che la pubblica opinione conti poco o nulla. Credo che sia un concetto sbagliato: essa, se e quando non conta quanto dovrebbe, lo deve solo a se stessa in quanto è dimostrato che quando alza la voce nei dovuti modi riesce, almeno qualche volta, a dire la sua di fronte a delle leggi inique promulgate da governanti incapaci o in malafede. La storia che andiamo a racconare, una delle tante, ne è un classico esempio.

 

Martin Van Buren (1782 1862) VIII Presidente degli Stati Uniti dal 4 Marzo 1837 al 4 Marzo 1841 si ritrovò ad affrontare un caso scottante, per l’epoca e i personaggi coinvolti: “il caso Amistad” protrattosi dal 26 agosto 1839 al 9 marzo 1841.

L’Amistad era una nave negriera, per l’esattezza una goletta progettata per il trasporto merci per cui, per i deportati che vi venivano imbarcati, vigevano condizioni umanitarie inaccettabili. L’imbarcazione di proprietà di due persone, José Ruiz e Pedro Montez dopo poco la sua partenza fu presa con la forza da un gruppo di schiavi neri “Mende” ribellatisi alla loro cattura e guidati da Sengbeh Pieh, più tardi noto come Joseph Quince, i quali, per conquistare la nave, uccisero i membri dell’equipaggio.

Gli schiavi costrinsero Ruiz e Montez, scampati alla strage, a far ritorno in Africa ma i due invece con un inganno fecero vela verso le coste degli Stati Uniti, dove la nave venne abbordata da una fregata militare, la USS Washington: Il capitano del vascello fece arrestare gli schiavi che vennero rinchiusi nel carcere di New Haven nel Connecticut. Messi sotto processo, essi vennero in un primo momento condannati per ammutinamento, ma il malumore di parte dell’opinione pubblica, di sentimenti abolizionisti, che aveva anche creato un comitato per supportare gli schiavi, costrinse a riaprire il procedimento giudiziario nel quale agli schiavi fu riconosciuto lo status di uomini liberi, in quanto acquistati illegalmente, e di conseguenza vennero assolti.

La sentenza scatenò le proteste diplomatiche della Spagna, la cui regina, la “cattolicissima” Isabella II chiedeva la formalmente la restituzione degli schiavi come merce in base al trattato di Pinchney del 1795 firmato tra i due Paesi. Il Presidente Van Buren, che cercava di mantenere buone relazioni con la monarchia iberica, e timoroso che la sentenza potesse costargli il voto degli Stati del Sud, in maggioranza schiavisti, per la sua rielezione, si ricordò di un certo Ponzio Pilato e non prese decisione alcuna ma mise il caso di fronte alla Corte Suprema il 23 febbraio 1841.

Nonostante ciò anche stavolta gli imputati, difesi dall’ex-presidente americano John Quincy Adams, riuscirono a far valere i propri diritti nonostante la corte fosse composta da giudici che erano proprietari di schiavi o simpatizzanti per il Sud e vennero così definitivamente assolti il 9 marzo 1841. L’amministrazione Van Buren però non volle accollarsi le spese di trasporto per gli ex-schiavi neri in Africa, così un gruppo di abolizionisti raccolse i fondi necessari per noleggiare una nave che li portasse in patria, cosa che avvenne in novembre.

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