Lucrezia Donati, di cui in questi giorni si fa un gran parlare per via dello sceneggiato in onda su Rai Uno, nacque attorno al 1447, a Firenze.
Era la figlia più piccola di Manno Donati e Caterina Bardi, che ormai da tempo avevano perso potere sia politico che economico a Firenze. Lucrezia infatti, non riuscì ad ottenere una dote dal padre, che non aveva i mezzi per assicurargliela, e così si riducevano le sue possibilità di trovare un buon marito.
Il padre comunque, riuscì infine a combinarle un matrimonio con Niccolò Ardinghelli, un mercante fiorentino cui era toccato in sorte di essere esiliato.
Fatto curioso, fu Lorenzo de’ Medici a tenere le fila del negoziato matrimoniale.
Lorenzo era da sempre innamorato della bella Lucrezia, ma per motivi politici fu costretto a sposare Clarice Orsini, che la mamma, Lucrezia Tornabuoni, aveva per lui “scovato” durante una minuziosa ricerca a Roma.
Questo matrimonio permetteva ai Medici di farsi un nome lontano da Firenze, ed apriva anche la strada ai futuri pontefici de’Medici.
Questo fatto poteva ben giustificare un matrimonio senza amore (del resto all’epoca ben pochi matrimoni si basavano sul sentimento); il matrimonio era un dovere familiare, un legame che sanciva alleanze, equilibri dinastici, che rafforzava i patrimoni e garantiva prosperità economica, non erano contemplati la passione e i sentimenti.
Clarice fin da subito non incontrò la simpatia dei fiorentini, ma il compito che aveva lo svolse egregiamente: quello che doveva era assicurare una discendenza a Lorenzo, ed assolse il suo dovere con magnanimità, mettendo al mondo ben dieci figli.
Lorenzo tuttavia, non ebbe mai molte attenzioni per la moglie, il suo cuore rimase legato alla figura di Lucrezia Donati, della quale scrisse anche in un suo poemetto, Corinto.
L’amore tra Lucrezia e Lorenzo si dice sia stato un amore platonico, nonostante ciò che ci mostra la fiction, di quelli che fanno palpitare il cuore senza mai sfiorarsi, un legame flebile e tenace, un nodo mai stretto ma che mai si sciolse.
In una sua poesia Lorenzo, senza palesarne il nome, scrisse di Lucrezia “Tiene il mio cuore nelle sue mani”; con questo stratagemma di non menzionare mai il nome dell’amata, Lorenzo riusciva a cantare il suo amore per Lucrezia, forse era un modo per scambiarsi tenerezze pubblicamente senza che nessuno lo percepisse, chissà…
Fatto sta che la descriveva come la ninfa Galatea, “colei che ha la pelle bianco latte”.
Galatea era una delle ninfe delle acque (Nereidi) che, secondo un mito greco, per tener vivo l’amore del suo amato Aci, ucciso da un Polifemo accecato dalla gelosia, pregò che Aci venisse trasformato in sorgente, così che dal quel momento l’acqua che scorreva dalla sorgente avvolse Galatea in un abbraccio eterno, e l’amore trionfò.
Al pari del mito greco, Lorenzo si sentiva avvinto nell’abbraccio di questo amore casto e puro.
Lorenzo e Lucrezia si conobbero da giovanetti, all’incirca all’età di 16 anni, e tra loro scoccò subito la scintilla.
Lorenzo non era ancora impegnato con Clarice e Lucrezia era libera come l’aria, ma questo non bastò.
Il 7 febbraio del 1469, poco prima delle nozze con Clarice, in piazza Santa Croce si tenne una giostra: Lorenzo sfidò altri prestanti e coraggiosi cavalieri, sfoggiando una sfarzosissima tenuta, riccamente decorata con pietre preziose. Sull’elmo aveva una corona di violette, simbolo di Lucrezia.
Lo stendardo con cui il Magnifico si presentò in campo gli era stato donato da Lucrezia ed era stato dipinto da Andrea del Verrocchio; raffigurava una donna, la stessa Lucrezia, intenta ad intrecciare una corona di lauro, allusivo richiamo a Lorenzo.
Ovviamente la giostra venne vinta dal Magnifico che, dopo la proclamazione della vittoria da parte dei giudici, si avviò verso la tribuna dove sedeva Lucrezia, che gli consegnò il premio, consistente in un elmo intarsiato d’argento, e Lorenzo dedicò questa vittoria alla sua amata.
Naturalmente la giostra aveva anche una valenza politica, con questa vittoria Lorenzo venne pubblicamente riconosciuto come Signore di Firenze.
Anche in altre occasioni Lucrezia venne festeggiata. Spesso si tenevano balli e festeggiamenti nell’ambiente mediceo, ed erano in suo onore, cosa che, se da una parte le procurarono ammirazione per la sua bellezza e la sua eleganza, dall’altra furono fonti di invidia e di sospetti.
Lorenzo chiedeva agli amici, per lettera, di essere informato su Lucrezia, addirittura la faceva controllare.
Quando Lucrezia ebbe un figlio dall’Ardinghelli, gli venne imposto il nome di Piero, padre di Lorenzo, e questi pretese che Clarice lo tenesse a battesimo.
In totale Lucrezia mise al mondo quattro figli.
Nel 1501, nove anni dopo Lorenzo, Lucrezia morì e venne sepolta nella cappella Ardinghelli nella chiesa di Santa Trinita.