Il celebre generale Mardonio (VI secolo a.C. – Platea, 479 a.C.), il cui nome in antico persiano ha il significato di “colui che è mite”, era figlio di Gobria, (un membro dell’aristocrazia che aveva sostenuto l’ascesa al trono di Dario I ai danni del satrapo usurpatore Gaumata) e di una sorella dello stesso Dario e fece il suo ingresso tra i membri della famiglia reale in qualità di genero del sovrano, avendone sposato la figlia Artozostra. Fin dalla gioventù dimostrò un grande acume tattico, una qualità che gli fece guadagnare la stima di tutta la nobiltà achemenide. Nel 492 a.C infatti, sotto ordine di Dario I, sconfisse facilmente i coloni ioni, scacciandone i tiranni e instaurando stati satellite democratici fedeli al falco persiano. Subito dopo però, col bene placito di Dario, Mardonio attuò un nuovo piano di conquista mirando alle ricche città poste dall’altro lato dell’Egeo: ufficialmente sarebbe partito alla testa di un esercito per riassoggettare la Tracia e punire le póleis di Atene ed Eretria (per l’appoggio che queste avevano fornito agli Ioni durante la loro rivolta) ma sotto traccia lo scopo dei Persiani era quello di conquistare quante più città greche possibili. Un’azione che sulla carta sarebbe stata estremamente semplice, visto che molte póleis da tempo avevano già inviato richieste di resa e sottomissione alla superpotenza iranica. Mardonio, suo malgrado, si trovò però a dover affrontare una prova che non aveva minimamente previsto e che nessuno, anche al comando del miglior esercito di quel tempo, sarebbe mai stato in grado di superare.
Quando il militare achemenide cercò di doppiare il monte Athos, nella penisola calcidica, la sua flotta incappò in una terribile tempesta, che provocò la distruzione di tutte le navi sotto il suo comando e la morte di almeno 20000 uomini (Erodoto riferisce di circa 300 unità coinvolte, anche se è probabile che tali cifre furono gonfiate). I sopravvissuti, che si erano accampati lungo la costa macedone, furono vittime di un’imboscata dei Traci Brigi, i quali ferirono anche lo stesso Mardonio. L’esercito persiano alla fine riuscì comunque a sottomettere i Brigi grazie alla guida del loro generale ma alla fine fu costretto a rientrare in Asia Minore, dove Mardonio pagò l’insuccesso con l’esonero dal comando. Di conseguenza quando nel 490 a.C. Dario organizzò una nuova spedizione contro la Grecia allo scopo conquistare l’isola di Nasso, estendere il dominio persiano sull’intero Egeo per poi sferrare un decisivo attacco contro Atene e le altre póleis, il comando venne affidati a Dati e Artaferne mentre Mardonio, non partecipando alla spedizione, non poté far nulla per evitare l’umiliante sconfitta che gli Ateniesi inflissero ai Persiani a Maratona. Pieno di rancore verso i nemici occidentali e desideroso di riottenere la gloria di un tempo, il generale persiano, che aveva conservato un certo prestigio all’interno della corte, spinse il nuovo re Serse I, ad iniziare una nuova campagna contro il nemico ellenico. Mardonio, nonché cugino del re, fece infatti leva sul desiderio di rivalsa degli Achemenidi, sui danni provocati dalla rivolta ionica, sulle conseguenze dell’incendio di Sardi e chiaramente, sulla sanguinosa sconfitta patita a Maratona.
Il guaio però fu quello che Serse, non solo era sprovvisto dell’intelletto di suo padre Dario ma non nutriva molta fiducia nella abilità del suo generale. Erano infatti ancora forti le responsabilità del disastro navale del 492 a.C e per questo Serse decise di affiancargli Artemisia, regina di Caria e che ottenne il comando su sei navi della flotta. L’operazione di approdo sulle coste greche venne divisa in due atti: innanzitutto si predispose un ponte formato dai vascelli persiani, facendo in modo che le truppe achemenidi potessero passare le acque con tutta tranquillità; poi, fu organizzata l’apertura di un canale a nord del monte Athos, una straordinaria opera di ingegneria idraulica che prese il nome di Canale di Serse, attraverso la quale far passare l’intero schieramento navale con maggiore tranquillità, ed evitare il periplo dell’insidioso monte.
Così, raggiunta la Grecia continentale, i Persiani iniziarono la lori marcia verso l’entroterra: nell’agosto del 480 a.C venne sottomessa la Beozia e da lì Mardonio condusse le truppe presso il passo delle Termopili dove il generale persiano trovò Leonida e i suoi “300” uomini a sbarrargli la strada. In un stretta gola montana, i Persiani affrontarono Leonida di Sparta nella celebre Battaglia delle Termopili, sconfiggendo il glorioso diarca tramite un astuto stratagemma: visto che nessun achemenide poteva sperare di battere i potentissimi Homoioi spartani in un combattimento frontale, Mardonio incaricò il suo sottoposto Idarne di trovare un passaggio che avrebbe condotto le truppe zoroastriane alle spalle della micidiale difesa greca (il mito di Efialte probabilmente fu un’astuta manovra politica di Erodoto che preferì creare questo personaggio, che in greco vuol dire “Incubo”, per giustificare la sconfitta patita). Galvanizzato da questo successo e dopo l’inconcludente battaglia navale di Capo Artemisio, (combattuta in contemporanea allo scontro delle Termopili), Mardonio, su indicazione di Serse, convocò tutti i comandanti dell’esercito persiano per chiedere loro consiglio: voleva capire infatti se fosse più conveniente attaccare via mare o per terra. Secondo il racconto di Erodoto tutti i generali consigliarono di procedere con un’altra battaglia navale, con la sola eccezione di Artemisia, che invece insistette per proseguire sulla strada di uno scontro campale fra i rispettivi eserciti: la regina di Alicarnasso infatti sosteneva che mentre la superiorità dell’esercito di Serse fosse schiacciante sulla terraferma, sul mare gli Elleni si erano dimostrati superiori. Serse però non le prestò ascolto e decise di seguire il parere dei suoi generali che spingevano per proseguire la campagna attraverso il controllo del mare: il re era infatti convinto che una volta che la coalizione delle póleis fosse stata privata dello scudo rappresentato dalle loro navi, sarebbero state costrette ad arrendersi. La decisione di Serse però si rivelò fatale: a Salamina, la flotta persiana venne fatta a pezzi dal genio dell’ateniese Temistocle e del navarco (ammiraglio) Euribiade (originario di Sparta).
Disperato per questo ennesimo fallimento, Mardonio, temendo di essere punito per aver spinto Serse a muovere guerra contro gli odiati nemici, suggerì di continuare la guerra da solo. Indispettito, il Re dei Re accettò la proposta del suo generale ma gli portò via metà dell’esercito, lasciandolo in grave difficoltà . A quel punto Mardonio, dopo essersi ritirato in Beozia, nei pressi della piana di Platea, decise di giocarsi il tutto per tutto contro l’armata panellenica guidata da Pausania, il secondo diarca di Sparta. I 100.000 soldati di Mardonio si trovarono così ad affrontare un esercito di 70.000 soldati di un’alleanza di città-stato greche, tra cui Sparta, Atene, Corinto e Megara. Il generale achemenide, conscio che solo una vittoria gli avrebbe potuto dare la possibilità di tornare a casa (visto che Serse raggiunta l’Anatolia, aveva dato ordine di distruggere il ponte di navi, bloccando Mardonio in terra straniera) decise di usare tutto il suo ingegno per poter sconfiggere la micidiale armata scagliatagli contro dai nemici. Condusse gli avversari in campo aperto, dove i persiani erano praticamente invincibili, facendo affidamento su un’invidiabile velocità nei movimenti e una potenza di tiro che la lenta e monolitica macchina bellica greca poteva solo sognarsi: il piano mirava a sparpagliare i greci sul campo battaglia così da renderli più indifesi. Nelle prime battute tutto sembrava funzionare alla perfezione tanto che i comandanti ateniesi e spartani, in forte difficoltà, cominciarono a litigare tra di loro (benché il polemarco in campo fosse de jure e de facto Pausania stesso, uno spartano) e Mardonio a quel punto tentò di dare il colpo di grazia ai nemici. Anche stavolta però il destino decise diversamente: l’inarrestabile cavalleria achemenide venne fermata dalla tragica morte del generale Masistio, il quale comandava tutto il reparto a cavallo dell’esercito di Mardonio. Questi allora decise il tutto per tutto, mettendosi all’inseguimento di quella parte delle truppe greche che avevano iniziato ad andare in rotta: si presentò dinnanzi ai suoi uomini con una meravigliosa veste viola e in sella ad un cavallo con le briglie dorate, le guidò all’inseguimento dei nemici. In quel momento però venne notato da un generale spartano, Arimnesto, veterano delle due guerre persiane, il quale fece quel gesto che contribuì a cambiare radicalmente il corso della battaglia: prese un grosso sasso da terra e lo scagliò con tutta la forza contro Mardonio, il quale, colpito in testa dal proiettile, cadde dal cavallo rompendosi l’osso del collo. La morte del generale causò un’ondata di panico nell’armata persiana, la quale si ritirò preda della disperazione nel caos più totale e venne distrutta. Così cadde Mardonio, così i Persiani persero la guerra.